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Bomba, a orologeria con undici anni di ritardo


Alberto Pasolini Zanelli
Le campagne presidenziali americane durano sempre molto. Quella in corso, poi, aveva già battuto il record, anche perché era stata aperta in anticipo dal concorrente meno atteso: Donald Trump. Che si era buttato nella mischia addirittura nel 2015 per una votazione in calendario nel novembre 2016 e il cui vincitore dovrà entrare in carica il 15 gennaio 2017. Ma adesso questa maratona rischia di assomigliare a quella famosa e famigerata di Boston, troncata dal fuoco di terroristi. Questa volta si tratta di una bomba, a orologeria, scoppiata addirittura con undici anni di ritardo ma dalle conseguenze probabilmente letali per la carriera politica di quello stesso personaggio che ha tenuto in piedi la presente corsa alla Casa Bianca con le bizzarrie, intuizioni e gaffe.
Era più giovane Donald Trump nel 2005 e non aveva verosimilmente nel mirino una carica politica, tanto più quella a uomo più potente del pianeta. Era o si riteneva ancora, piuttosto, un incrocio fra un uomo di finanza e uno di teatro, del genere che lo rese famoso, ad esempio, per il lungo programma televisivo il cui titolo era la sua battuta preferita e più improbabile: “Sei licenziato”. Si riteneva, dunque, una star e, di conseguenza, un seduttore irresistibile. È quello che proclamò mentre un bus lo trasportava in un teatro di provincia dove avrebbe dovuto fornire un cameo a una soap opera. Parlava di donne con il suo compagno di viaggio, Billy Bush, parente dell’allora presidente George Bush e si esprimeva in termini che il resto del mondo ha imparato a conoscere dalle sue “uscite” più recenti. Si serviva di un lessico decisamente sconveniente, incluse le fondamentali “parole di quatto lettere”, descrittive della più intima anatomia femminile. Tutto questo, mentre qualche mese prima si era sposato con Melania, la sua terza moglie. Il breve dialogo fu registrato e adesso è saltato fuori con una sorpresa perfettamente in linea con i toni della presente campagna elettorale.
La “rivelazione”, quasi altrettanto maliziosa, ha fatto tutto l’effetto che ci si attendeva. Se ne è appropriata la Washington Post, il quotidiano da sempre più ostile alla candidatura di Trump e ha fatto il giro del mondo. Il colpevole-vittima si è precipitato a scusarsi, come è costretto a fare da mesi almeno un paio di volte alla settimana. Ma non troppo: “Mi scuso, ma non mollo”. La sua nemica ne ha logicamente approfittato per richiamare alla battaglia le femministe e tutte le donne d’America. Trump ha disdetto la sua partecipazione a un dibattito nel Wisconsin e ha annunciato che lo avrebbe sostituito il candidato repubblicano alla vicepresidenza Mike Pence, ma quest’ultimo lo ha subito smentito. Tutto questo a poche ore dal gong al secondo dibattito presidenziale nel Missouri. Le previsioni, già piuttosto negative per Trump, si sono adesso ulteriormente incupite. L’America politica non si attende più di sapere chi porterà al confronto proposte politiche più dense, accurate e adatte ai tempi. Si aspetta solo di sapere come se la caverà Trump e, al limite, se rimarrà candidato superata la crisi delle ultime e prossime ore. Già da qualche tempo si diffondeva nel suo partito la tentazione di scaricarlo. Molti repubblicani, fra cui Henry Kissinger, avevano già detto che rifiuteranno ambedue i candidati. E addirittura per Hillary Clinton si è dichiarato George H. Bush, pure lui parente del conduttore televisivo di quella serata infame.
Pasolini.zanelli@gmail.com