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Trump sfida le banche centrali


Guido Colomba

Nei dodici anni compresi tra il 1983 e il 1994 (l'anno del processo "Mani pulite" e della dissoluzione della DC) il Pil italiano è cresciuto ad una media del 2,1% con una punta del 4,1% nel 1989. A distanza di ventidue anni è considerato un traguardo, non senza polemiche, ottenere l'uno per cento di crescita. Non solo. Il ministro Carlo Calenda, titolare dello Sviluppo Economico, prevede un crollo globale degli scambi commerciali nel 2017 con un fattore aggravante: "Non c'è più una sede istituzionale internazionale in cui discutere una questione così importante, il Wto non va, non ci sono più strumenti e luoghi dove si fa governance". A Londra, la premier May, con la sterlina ai minimi da 31 anni, annuncia, sulla scia di Brexit, una frenata storica: "Più posti di lavoro agli inglesi". Tutti gli altri in seconda fila. E' giustificato tanto pessimismo? Sta di fatto che la Germania è di nuovo il punto centrale della polemica tra Stati Uniti ed Europa. Secondo Trump la Germania gode di vantaggi commerciali ingiustificati (record mondiale di attivo commerciale con 310 miliardi). Sul piano interno, per ridurre la spesa sanitaria, vuole liberalizzare le importazioni di medicine dal vicino Canada (dove costano un decimo). Inoltre ha già sfidato il ruolo delle banche centrali. Trump promette una riduzione fiscale e ipotizza una "supply side economy" per favorire l'economia reale. Secondo molti economisti se ciò avvenisse (ovviamente in caso di vittoria del candidato repubblicano) la politica del QE non avrebbe più spazio (tapering) e i tassi di interesse tornerebbero a salire. Il primo segnale lo hanno dato le società di assicurazione che sono subito risalite in vista di un ritorno a margini finanziari in grado di pagare i rendimenti delle polizze vita. E' in atto un braccio di ferro con i grandi gruppi bancari (insieme ai fondi hedge) che, al contrario, vogliono perpetuare l'attuale situazione. Questo duro scontro di strategie economiche sta coinvolgendo anche il fronte di Hillary Clinton costretta ad ascoltare le istanze delle fasce popolari più deboli. Ed è questo il paradosso politico. La distinzione programmatica tra gli schieramenti si sta facendo sempre più debole come insegnano le esperienze in corso in Europa. L'allarme lanciato dal Fmi sulla fragilità del sistema finanziario europeo riflette le nuove "sensibilità" che stanno crescendo a Washington. In evidenza le criticità delle banche italiane i cui crediti a rischio (NPL) ammontano a 360 miliardi di euro (il valore netto oscilla intorno agli 80 miliardi). Dovete fare di più: è questo il messaggio del Fmi. In caso contrario i rischi sono duplici: stagnazione economica per lunghi anni ed esposizione alla speculazione dei mercati. Il successo dell'emissione di Btp a cinquanta anni, con il 67% di adesioni internazionali, sembra anticipare questa situazione. Per ora i mercati (ed i governi) puntano a guadagnare tempo. Ma la vicenda di Deutsche Bank, "un problema di assoluto rilievo", dimostra la precarietà e la durezza dello scontro in atto.